Il mio calcio libero by Barbara Bonansea

Il mio calcio libero by Barbara Bonansea

autore:Barbara Bonansea [Bonansea, Barbara]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, Sports
editore: Rizzoli
pubblicato: 2019-11-18T16:00:00+00:00


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Squadra. Per me: Bricherasio, Torino, Brescia, Juventus, più la Nazionale, anzi, le Nazionali considerando Under 17, Under 19 e la Nazionale maggiore. La squadra è famiglia, una famiglia, una famiglia allargata. È banda, orchestra e coro. Fa gruppo e spogliatoio. È campo e panchina, titolari e riserve. È tutti per uno e uno per tutti, totale undici, senza contare le altre, pronte a entrare in partita. Ma ci vuole lo spirito giusto – lo spirito di squadra –, saper stare insieme, unite, solidali. Squadra è dare per poter ricevere, è pronto soccorso, mutuo soccorso, è essere e non solo avere. Squadra è collettivo, sostantivo collettivo e filosofia collettiva. Don Milani diceva: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Se si sostituisce politica con calcio, o con altri sport, ecco che cosa significa fare, essere, diventare una squadra. Una squadra si crea, si costruisce, si consolida. Una squadra è la dimostrazione che uniti si vince (ma anche si pareggia o si perde). Una squadra è il noi, è il plurale maiestatis. Una squadra è dare del noi anche a me e a te, è dare del voi o del loro alle avversarie. Una squadra è cadere e risorgere, ma insieme, è vincere e perdere, ma ancora insieme, è collegare condividere compartecipare, ma sempre insieme. Una squadra è alleanza e complicità, e la complicità è più di una semplice alleanza, perché è un’alleanza più intima, più segreta, e per questo più magica, vincolata da un patto. Patto? No, da un legame. Legame? Sì, da un legame, da un vincolo, che si esprime attraverso codici verbali e gestuali, sonori e silenziosi, insomma, di amicizia. Una vittoria di squadra non è una vittoria divisa per il numero dei giocatori, ma è una vittoria moltiplicata per il numero dei giocatori, ed è questo che fa la differenza. Per questo non esiste nulla di meglio di una squadra, di una vera squadra, ed è per questo che amo lo sport di squadra, ti/mi regala quel senso di appartenenza, di proprietà, di complicità che altrove, ciao.

Certe squadre sono preghiere: Sarti Burgnich Facchetti (la grande Inter) Tagnin Guarneri Picchi (qui un bel respiro per il gran finale) Jair Mazzola Peirò Suarez Corso. Una volta si recitavano così: portiere e terzini, la mediana con lo stopper e il libero che sono scomparsi, l’attacco che comprendeva le due ali, le due mezzali e il centravanti o il centrattacco (archeologia calcistica, però quelle definizioni mi piacciono, un po’ come dire legionari e centurioni, fanti e cavalieri). Adesso, con il 4-3-3 o il 4-3-1-2 o il 5-3-2, e con le formazioni che cambiano a ogni partita, insomma, sarebbe diverso, e certe preghiere/formazioni non si recitano più. Le formazioni sono memoria: Bacigalupo Ballarin Maroso (il grande Torino). Si può cominciare dal portiere: Gilmar Djalma Santos Nilton Santos (il Brasile mondiale nel 1962, e Djalma e Nilton non erano fratelli). O dalla fine: Menti Loik Gabetto Mazzola Ossola (il grande Torino), o la più musicale Garrincha Didi Vavà Pelè Zagallo (lo stesso Brasile del 1962).



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